Le ragioni che animano un Premio d’Arte si fondano su robuste radici e si rapportano alla disponibilità di palcoscenico destinato agli artisti.
La stagione dei Premi fiorisce specificamente nel secondo Dopoguerra, allorché le poche Gallerie superstiti non risultano, per numero e pluralismo, motore sufficiente a rilanciare, o meglio liberare, l’arte contemporanea per troppo tempo soffocata dai dettati del Fascismo.
All’idea, lodevole nella sostanza, si coniuga talvolta, benché impropriamente, una connotazione ideologica e politica di naturale contrapposizione al passato se non di palese rivincita. Ma questo aspetto, benché nitida divergenza dai canoni democratici dell’Italia repubblicana, manifesta comunque un dato reale e diffuso: la necessità, l’impellenza di un’espressività libera e lungamente coatta.
Nascono Premi di grande importanza a Gallarate, Lissone, Suzzara, a Nova Milanese, Bozzolo, Milano, mentre tacciono Bergamo e Cremona, quasi penitenti per aver animato i fasti delle rassegne di maggior rilievo durante il regime precedente.
Si tratta di Premi lungimiranti eppure di grande semplicità. Talvolta il conferimento avviene in denaro, talora in natura e si configura in un prosciutto, in un mobile, oppure in un elettrodomestico ma l’apparente “basso profilo” del riconoscimento non deve trarre in inganno.
Il Premio è sentito, la partecipazione è viva e la consistenza del dono in palio è espressione di popolarità, quasi goliardia dialettica e nuova.
Premi tuttora attivi, oppure rinati dopo pause di crisi e di riflessione, comunque additati a modello per l’alta qualità di opere raccolte nel tempo e consegnate alla collettività.
L’apertura del palcoscenico non si limita ad artisti locali e supera la prospettiva meramente territoriale, tanto da conferire, nel caso di...

Claudio Rizzi